Pur faticando le note sette camice, traggo grande giovamento leggendo un bellissimo saggio strutturato con il metodo dell’intervista di Paola Giovetti, giornalista. Protagonista Ulderico Pasquale Magni. Padre Magni ci ha definitivamente salutati alla veneranda età di 99 anni, all’ incirca due anni or sono. Ha conservato lucidità e cinetismo intellettuale sino all’ultimo stante di vita terrena lasciandoci in eredità argomenti che illustrerò aggiornati in modo esemplare.
Il desiderio di pregare è di per se una preghiera. La preghiera è un amuleto contro la tristezza e lo scoraggiamento dell’anima. Il solo pensiero riconoscente innalzato al cielo è la più perfetta delle preghiere. Chi prega sfama e purifica una fame spirituale molto avanzata che si presenta con le caratteristiche della soggettività che si proporziona alle circostanze di un vissuto, di un presente e di un orizzonte modulati dalle circostanze generali. Attenzione al religioso perfetto che prega talmente bene al punto di ignorare che prega. Unire la preghiera alla volontà è la grande sfida che ognuno di noi lancia a se stesso. Bisogna innanzitutto evitare ogni minima disposizione alla bacchettoneria,cioè quella devozione malintesa che ci rende pusillanimi o fanatici. La preghiera deve insegnarci ad amare Dio e gli uomini, bramare sempre di più il Regno della Giustizia, ad aborrire le iniquità perdonando gli iniqui. Il vero pregare incessantemente non è borbottare molte parole alla guisa dei pagani, ma adorare Dio con semplicità. Si con parole, si con azioni, fare che le une e le altre siano l’adempimento del volere di Dio. Le formule delle preghiere che recito in adorazione sono sempre poche, non per sottovalutazione, ma perché sono fatto così. Non sono capace di recitarne molte senza vagare in distrazioni e porre l’idea del culto in oblio. Ma non dimentico che Dio è sempre vicino a noi, egli è in noi, o piuttosto che noi siamo in Esso.
Giorni or sono ebbi modo di scrivere : l'eternità esiste e coloro che vivono nell'aldilà comunicano con noi . Scrivendo ciò immagino già l'espressione dubitativa e ironica di molti di fronte all'inconcepibile di questa affermazione. La corazza razionalista e positivista che imprigiona-negli ambienti scientifici e religiosi ufficiali - il nostro spirito è talmente rigida che tutto ciò che rischia di metterla in discussione viene respinto nelle tenebre delle scienze cosiddette occulte o nel campo della parapsicologia.. La Chiesa nutre grande diffidenza nei confronti di questi fenomeni, è vero che essa insegna l'eternità, ma non accetta che la si possa vivere e che si possa entrare in comunicazione con essa. Qui entra in gioco la consapevolezza di ognuno di noi, la nostra esperienza, il nostro vissuto. Io pur non disponendo di grandi argomenti posso però mettere in campo l'esperienza del dramma con cui comunico quotidianamente.La morte non è che un passaggio. La nostra vita continua, senza alcuna interruzione,fino alla fine di tempi. Porteremo con noi nell'aldilà la nostra personalità nella sua interezza, i nostri ricordi, il nostro carattere. I nostri cari, i nostri contemporanei nell'eternità ci parlano anche dell'onnipresenza di una forza che è origine di tutte le cose e termine della nostra evoluzione. Tale orza è chiamata Dio. L'esistenza di Dio è da essi provata come Amore personale, infinito, incondizionato.Non saprei dare risposta ad un fatto, come potrei resistere al dramma del lutto se non fossi oramai dotato di una sovra struttura mentale su cui poggia tale convincimento.Non riesco a distaccarmi dall'idea ottimistica che a presto riabbraccerò Giulia e con essa tutti i miei cari. sfido l'ironia di taluni. Ma io sono espositore di una esperienza reale, la comunicazione con il mio mondo spirituale è frequente, passa anche attraverso il volano fondamentale della preghiera.Ognuno di noi percorre tragitti diversi e il il punto di approdo è anche esso diverso. La presenza di Giulia o di qualche altro caro a fatto di me una persona diversa, probabilmente migliore. non voglio rinunciare a questo sentire, è nitido, corroborante al punto che mi consente di comunicarlo a tutti Voi.
Venaria, una città della quale colgo l'immobilismo.Tanta è l'apatia e la stagnazione, poco attenta al vivere quotidiano. Ho l'impressione che tutti attendano l'arrivo di un messia che non arriva. Giuro che qualcuno questo messia vorrebbe farlo in proprio.Oggi l'unica mobilità la si coglie solo sotto o di fronte a qualche edificio della pubblica amministrazione. Si sentono le grida derivanti dal rivendicazionismo sociale rispetto il dramma economico che colpisce una grande fetta di nostri concittadini. I pubblici amministratori sono portati a declinare le proprie responsabilità, ciascuno si rifà alle colpe dei precedessori o di chi sta a monte della gerarchia politico amministrativa. Cosa facciamo per ridurre le difficoltà derivanti dalla carenza di taluni servizi? Eppure Venaria conserva intatta la sua forte identità derivante dalla sua straordinaria storia. La città è apatica anche perchè, nonostante il paradosso che vede protagonisti taluni amministratori esempio del peggior horror della politica, c'è troppa uniformità , appiattimento, non c'è più dialettica di livello nel confronto e nel contrasto. E' pur vero che la carenza di risorse incide sulla possibilità di compiere scelte e fare investimenti. Ma se se non c'è partecipazione non lo si puo capire e accettare. A nulla servono le esternazioni profetiche di qualche ottimista o pessimista. C'è perturbazione, la notte prevale sulla luce. Io personalmente insisto sul dovere di investire nella cultura rimettendo in campo le ricchezze mentali di cui abbonda la città. La biblioteca ne è un esempio. A queste condizioni si riuscirebbe anche a recuperare un livello di credibilità etica. A queste condizioni si riuscirà a marginalizzare gli attori di questo spettacolo triste a cui abbiamo assistito negli ultimi Consigli Comunali. Non è tollerabile che tre quatto individui giochino sulla pelle di tutti noi. Usare il proprio ruolo e promuovere comportamenti che hanno solo il sapore e l'efficacia del ricatto.
Lettera aperta di Armando Crivelli 14 dicembre 2013
Ognuno sta solo sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera (Salvatore Quasimodo)
Non ricordo chi ha sostenuto che la solitudine è la dieta dell’anima. La solitudine è anche creativa, fa maturare l’originalità, la bellezza strana e inquietante, la poesia. Ma genera anche il contrario, lo sproporzionato, l’assurdo e l’illecito. Ma che pensare di tutto ciò?
Vladimir Nabokov arriva a sostenere che la solitudine è il campo da gioco di Satana. Chissà cosa lo ha spinto per affermare tanto. Di converso ritengo che la vera felicità è impossibile senza un po di solitudine. Probabilmente l’angelo che tradì Dio fu perché desiderava solitudine visto che gli angeli non la conoscono. Sta a noi a non rassegnarci alla versione negativa della solitudine. Ricordiamoci che quando si è soli nel corpo e nello spirito di ha bisogno di solitudine, ma attenzione se si governala solitudine essa genera altra solitudine. John Milton risponde con: Talvolta la solitudine è la miglior compagnia / e un breve sollecito a un dolce ritorno. Non conosco stato d’animo più contraddittorio. I solitari in genere leggono molto, ma parlano poco e non ascoltano. La vita per loro è misteriosa. Sono mistici e spesso vedono il diavolo dove non c’è. Moltitudine e solitudine sono spesso termini uguali e convertibili. Ad es per il poeta. Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa essere solo in mezzo al clamore della folla Distinguerei tra soli e solitudine. Si resiste a star soli finche qualcuno soffre di non averci con se, mentre la vera solitudine è una cella intollerabile. I drammi della vita concorrono a determinare una solitudine inqualificabile, in perpetuo movimento, non sempre doloroso ma ad effetto candeggiante, libera la forza energetica dei convincimenti e fa si chela resistenza al dolore sia evidente. Giulia, la luce che mi orienta verso il mio orizzonte, è presente senza esserci ma solo in solitudine la sento tanto vicina.
Mi cimento anche io con un'opera in piemontese del sublime musicista Brofferio. Tema : La focaccia.
LA FOGASSA Carolin-a òh che allegria Finalment, chi lo diria Finalment son Re dcomi Ma j'è d'coi ch'am ciamo già Com diau sestu maestà? A j'è d'che fè la grimassa... pr'fetta d'la fogassa.
Iì politich a n'insegno ch'à l'han tuti coi ch'a regno Un quaich titol, un quaich drit Drit divin, d'sucession Drit d'acquist, drit d'elession, E mi'l drit ch'i l'eu sta seira A l'è col dla fava neira
Ma da già ch'j eu na coron-a, E ch'ì ten-o un scetro an man , Venta ch'j ordina e i dispon-a Second l'uso dij sovran. Dnans al mond veui nen passè Pr're d'gis ò un re d'pape, In virtu dla certa scienssa I comando in conseguenssa.