Penso di poter condividere con una necessaria precisazione che si tratti di sofferenza vera, non sofferenza immaginaria frutto del vizio, una sofferenza che nel diagramma della vita ha veramente segnato le persone. Sappiamo che in questi casi la sofferenza è quasi permanente, oscura e cupa, ha la natura dell’infinito. Diventa una specie di bisogno dell’organismo di prendere coscienza di vivere uno stato nuovo. Ma nel caso in cui si ha la forza ci si sforza per tentare l’impresa della risalita. Accettare di soffrire è sintomatico di debolezza a priori,quando è possibile bisogna innanzi tutto ricercare in noi stessi. In genere irisultati non sono risolutivi e seppur si definisca un nuovo stato esso risente del pregresso. Anzi la stessa è in grado di riproporsi con tratti fisionomici diversi, ma continuando a bussare al nostro cuore. Io non conosco persona che sia riuscita a trasmigrare allo stato di sofferenza a quello soave della felicità.Con umiltà, arricchiti dalla dura esperienza ecco che qualche traccia di saggezza in più di sedimenterà in noi.
Armando Crivelli 27giugno 2013