Tra i tanti consigli ricevuti, qualcuno mi ha proposto di affrontare il problema sul piano della volontà. Non discuto la buona fede, ma chi non prova non può comprendere. L’argomento è sempre lo stesso delle altre volte: il dolore. Come è possibile affidarsi alla volontà, essa è niente altro che un impulso irrazionale e caotico, presente in tutti gli esseri viventi. Anche negli animali e nelle piante. Ma solo l’uomo è capace di rendersene conto senza con ciò riuscire sempre a governarla e finalizzarla. Quindi dove vi è corpo ci può essere volontà.
Quando il rapporto tra questi due elementi coincide nasce il dolore esistenziale. La volontà ha come caratteristica l’infinità e l’assolutezza, e per sua natura induce l’uomo a desiderare continuamente e incessantemente, tuttavia il corpo, essendo soggetto alle leggi della natura, non può che essere limitato e mortale e di conseguenza non può soddisfare questo desiderio infinito. L’essenza della vita è dunque la sofferenza, dalla quale soltanto per brevi e fuggevoli momenti si è dispensati, quando appagano nell’immediato la volontà, si prova piacere. Di fronte alle proprie afflizioni ciò che resterebbe da fare, sarebbe minimizzare i desideri naturali, in modo da raggiungere una condizione mentale serena e una disposizione verso la benevolenza universale. Un tentativo per ridimensionare le ragioni all’origine delle afflizioni comporterebbe una sottovalutazione assolutamente innaturale, ingestibile che offenderebbe la qualità del dramma vissuto. Quindi la ipotetica volontà deve fare i conti con la verità dei fatti. Una volta accaduta, qualsiasi disgrazia non si può cambiare; oltre tutto non un secondo si dovrebbe sprecare con il pensiero che le cose potevano andare diversamente o addirittura potevano essere evitate: ciò infatti aumenta il dolore sino a renderlo insopportabile. Sottolineando che c’è un unico errore innato nell’uomo, quello di credere che noi esistiamo per essere felici, bisogna correggerlo con spirito di adattamento. Cercare di fare di necessità virtù, senza esagerare, bisogna abituarsi a tutto. Si sa che l’uomo è, soprattutto, un animale accomodante. Non c’è turpitudine o dolore a cui non s’adatti (D’Annunzio). Ma voglio credere, almeno per quanto mi riguarda, che questa sia una fase del mio comportamento limitata nel tempo. Bisogna sostanziare il progetto della risalita; pur convivendo con il dolore, con spirito e iniziativa che ci permetta di raggiungere il porto pur avendo fato il naufrago. Bisogna avere la qualità di saperci accontentare di quel po’ di felicità che ogni tanto intercetta la nostra vita. Quindi nulla è stabilizzato definitivamente anche se alcune illuminanti opportunità a volte ci aiutano almeno a consolidare le corde che fanno prevalere la chiarezza degli obiettivi rispetto le scosse nevralgiche dei pensieri dolorosi. Rifugiarsi nella dimensione spirituale, pregare molto, spesso si trova la pace interiore, io più lo faccio e più raccolgo, anche se in misura ancora insufficiente, ma dono a me stesso quella illuminata trasparenza che mi aiuta ne dialogo che ho in perpetuo con Giulia. La preghiera intesa come amuleto contro la tristezza e lo scoraggiamento dell’anima. Certo, si prega anche perché succeda il miracolo, ma sarebbe sciocco pensarlo in modo mercificato. I miracoli sono incidenti propizi, le cui cause naturali sono troppo complesse perchè si possano facilmente comprendere. Ma se pregare aiuta, illumina, chiarisce e offre prospettiva, significa che il miracolo è in pieno svolgimento. Io mi sento meglio,chissà, come già scrivevo, la voglia di pregare è di per se preghiera. Mi sento più vicino a te. Amore mio. Il tuo papà