“Non v’è cosa che pesi meno della penna, non v’è cosa più lieta; gli altri piaceri sono effimeri e dilettando recano danno; la penna da gioia sia nel prenderla in mano che nel riporla” Francesco Petrarca in lettera a Boccaccio.
Il nostro libro, quello essenziale, non dobbiamo inventarlo, esiste già in ciascuno di noi, va tradotto. Il dovere e il compito di uno scrittore è quello del traduttore.
Lo scrivere è come le nuvole e i fiori che si formano naturalmente, come l’accumularsi di certe forze, e devono cercare l’espressione di qualcosa che è dentro di loro. Bisogna scrivere il più possibile come si parla e non parlare come si scrive. Infatti scrivere bene non è altro che un ottimo modo di conversare. La scrittura che non prende contatto con la parola parlata si dissecca come la pianta senza l’acqua. Certo l’obiettivo ambizioso di chi scrive è quello di far trasformare il contenuto in parte della esperienza di coloro che leggendo ne restano coinvolti. Quanto vorrei diventare ingegnere dell’anima umana. Quelli che, leggendomi, mi fanno pensare”ecco è proprio vero” e che cioè mi danno la conferma di “come” so in genere che sia la vita. E quelli che mi fanno pensare”perdio, non avevo mai supposto che potrebbe essere così” e che cioè mi rivelano un nuovo particolare di ”come sia la vita. Kafka sosteneva che” scrivere è come una forma di preghiera”. Quando si ha chiaro il proprio modello si scrive in genere molto bene. Si giunge al punto che lo scrivere è una specie di ozio affaccendato. Bisogna saltare le idee intermedie quando basta per non risultare noiosi, ma non troppo per paura di non essere capiti. Chi scrive è essenzialmente un uomo che non si rassegna alla solitudine. Certo, un principio che difendo sino alla fine. Quando sarò morto, spero che si dirà: I suoi peccati furono terribili, ma la gente legge i suoi libri.