Alla donna erano affidati i lavori più ingrati, spesso molto pesanti e l’uomo padre padrone pretendeva la stessa lavorasse e tacesse. La famiglia, la maternità, la casa, hanno condizionato la donna costringendola a rinunciare a propri valori, interessi e diritti ostacolandola sul piano del protagonismo pubblico e privato. Ho trovato cose interessanti e curiose su come vivevano nel primo novecento. Ringrazio tanti “veciu” che mi hanno favorito in questa piccola operazione di messa in sicurezza di tutta una serie di notizie che solo in minima parte riuscirò a riproporre. I neonati venivano strettamente avvolti in bende di lino e cotone che non permettevano nessun movimento, tutto il corpo, braccia comprese venivano avvolte dalle bende poiché si pensava che ciò aiutasse le ossa a formarsi in modo corretto. La testa era ricoperta da un a cuffia munita di lacci per fermare il copricapo sotto il mento del piccolo/a. Non esistevano i pannolini,si usavano pezzuole di lino che servivano a tenere la piccola all’asciutto. La delicata pelle del neonato veniva lavata con acqua tiepida e sapone. I bimbi venivano messi a dormire all’interno di culle, costruite dai padri e riutilizzate per successivi fratelli e sorelle oppure quelle che avevano già ospitato i genitori e i nonni. Al suo interno c’era un materassino e un cuscino di piume d’oca. L e donne facevano oscillare la culla ponendo il piede sulla sporgenza inferiore della testata e intonavano le ninna nanna. I tre rintocchi del campanile annunciavano i momenti fondamentali di ogni famiglia contadina. La nascita, il matrimonio e la morte. Il mondo contadino piemontese è intriso da profonda religiosità e non prescindeva mai dal coinvolgimento del parroco locale. Fino alla metà del novecento la gravidanza non era, nel mondo contadino, motivo di particolare riguardo da parte dei componenti della famiglia. La donna continuava nei suoi lavori ordinari. Dalle nostre parti si diceva: A j’n camin” è in cammino. L’unica novità è che si allargavano le misere vesti. Non esistevano macchine ecografiche in grado di stabilire la natura del genere. Ci si affidava alle credenze. Una di queste derivava dal modo in cui si configurava il ventre. Alto e sostenuto era maschio ampio era femmina. Il parto avveniva in casa e se le circostanze lo consentivano nella stalla perché più calda. La cura del parto era affidata alla levatrice o in sua assenza ad una donna anziana. Questa professione era riconosciuta e perequata a quella del medico. I primi consultori OMNI vennero istituiti attorno il 1935. La figura della levatrice-ostetrica risale invece nel 1728 nell’antico Ospedale San Giovanni Battista di Torino dove venne anche istituita la scuola specifica. Nella fanciullezza si evidenziavano le prime forme di discriminazione a sfavore delle femminucce. Verso i 5 anni i maschi potevano indossare i graditi pantaloncini, che davano il senso della superiorità nei confronti delle sorelline. Le bimbe continuavano ad indossare abiti simili ai primi anni di vita, lunghi fino alle caviglie e dismessi dai genitori. Rispetto l’educazione scolastica nonostante i precetti delle leggi Casati “1859” che sancivano l’obbligatorietà si favoriva la frequentazione prevalentemente ai maschi. Le ragazze si limitavano alla terza elementare. Interessava che le ragazze imparassero bene a quali doveri sottostare. I ragazzi potevano integrare la loro istruzione partecipando alle veglie invernali in qualche stalla con l’ausilio di “maestri contadini” particolarmente adatti al ruolo. Insegnavano ad eseguire “calcoli aritmetici utili per il loro lavoro di agricoltori. Insegnavano a scrivere una lettera utile quando lontani da casa “militare” potevano comunicare con i genitori. A queste lezioni non erano ammesse le ragazze. Si deve ricordare che femmine e maschi giunti ai sei sette anni dovevano cominciare a guadagnarsi il pane. La miseria imponeva il massimo sforzo concorsuale di tutti i componenti della famiglia. Il tirocinio dei maschietti era duro, rigoroso sotto il controllo, spesso severo del genitore che non risparmiava anche le botte. Era il modo per formare e forgiare il carattere e la tempra del futuro agricoltore. I fanciulli dovevano accompagnare i bovini, quando erano aggiogati ad attrezzi(carri e aratri), per ore sotto il sole con i piedi doloranti per il camminare scalzi, sulle zolle di terra calda, ma sopportavano in silenzio. In primavera dovevano aiutare a sarchiare il frumento, cioè ad estirpare l’erba tra le file di grano. Durante la raccolta dovevano preparare fasci intrecciati che servivano a tenere insieme vari manipoli di grano. Finita la trebbiatura dovevano raccogliere le spighe che si accumulavano sotto la trebbiatrice. Compito delle femmine era quello di apprendere le competenze di future mamme, badando ai fratellini più piccoli. Riordinare la casa, rifare i letti, preparare i pasti. Non tutti i lavori erano invisi ai ragazzi. Un lavoro atteso era la “sfogliatura” del mais, dove le pannocchie venivano private dalle Brattee che le circondano. L’operazione era condotta in compagnia degli adulti, tutti seduti su mucchi di mais, alla sera, alla debole luce di un lume di petrolio. Era il momento dei racconti, legate a vicende di vita trascorsa, riesumando storie fantastiche spesso fantasiose. E’ il momento delle emozioni in cui i bimbi più piccoli abbracciano le mamme. Si intonavano anche belle canzoni, formando cori a cui partecipano tutti. I giochi erano prevalentemente a parola a cui partecipavano i ragazzi di tutta la cascina normalmente legati da vincoli di parentela visto che la conduzione era legata alla proprietà patriarcale. I campi da gioco erano l’aia e i prati circostanti. I passatempo preferiti erano il rimpiattino e la bella lavanderina. Un gioco che piaceva molto alle bambine, ma a cui partecipavano pure i maschi, q1uando non erano impegnati a giocare alla guerra o a fare a botte, era la nota Mosca cieca. Altro gioco in voga tra le ragazze, era la “settimana”, che richiedeva destrezza fisica,colpo d’occhio, scatto, velocità ed equilibrio. I bambini si dovevano accontentare di giocare con poche cose. Il motivo era semplice, la povertà dei genitori. Non erano consentite le cose superflue. Le bambine a volte evevano bambole ,pupattole di pezza e di stracci, riempite di paglia e per capelli si usavano gli stili delle pannocchie di granoturco, questo grazie alle nonne. La gioventù: La miseria costringeva, in campagna, molti genitori ad affidare i propri figli a contadini più benestanti. In primavera, i padri, accompagnavano i figli alla più vicina città e attendevano in apposite piazze che qualche agricoltore facoltoso scegliesse il proprio ragazzo come garzone. L’agricoltore squadrava il povero bimbo con occhi molto severi,per fasi una opinione sulla sua capacità lavorativa, gli palpava le braccia e se l’esame era soddisfacente, iniziava la trattativa per l’ingaggio. In genere il lavoro consisteva nella custodia del bestiame per un misero salario di poche centinaia di lire e qualche sacco di granaglie. Gli venivano riservati i lavori più pesanti. Il vitto era scarso, dormivano nei fienili o nelle stalle su mucchi di paglia e misere coperte. Il cibo consisteva in polenta a latte annacquato, minestra di fagioli allungata con tanta acqua e qualche foglia di insalata .Le ragazze, forse più fortunate dei maschi, venivano impiegate in aziende agricole per raccogliere frutta, ortaggi, fiori. Generalmente era un lavoro svolto a squadre, quasi sempre composto da compaesane, il che serviva a patire meno la lontananza di casa. Il lavoro era molto pesante, dodici e a volte più ore al giorno, per sei giorni la settimana. Durante il lavoro non era consentito parlare. Al contrario era consentito cantare o recitare preghiere. Qui il padrone non impediva alle ragazze di mangiare i frutti del lavoro con il pane. Altre ragazze, invece, prestavano la loro opera come persone di servizio presso famiglie borghesi, erano le ultime alla sera a coricarsi e le prime alzarsi al mattino. Spesso trascorrevano tutta l’esistenza in quelle famiglie, curando la crescita dei loro figli e spiravano nella stessa casa diventandone componenti. L “serve” si affezionavano molto ai bambini della famiglia. Svolgevano in tutto il compito materiale delle mamme,cullavano, accompagnavano all’asilo o scuola, lo facevano addormentare con le note ninna nanna. Nel caso in cui una ragazza avesse dovuto abbandonare la famiglia perché promessa sposa , si preoccupava di trovare la propria sostituta che normalmente era una famigliare o una compaesana. Provvedeva ad istruirla e garantendo per la stessa. Normalmente manteneva buoni rapporti di relazione con la famiglia che l’aveva ospitata. A volte però negativa poiché talune signore borghesi era esigentissime e molto dispotiche. Le ragazze dovevano solo ,lavorare e tacere soffrendo la fame e trascorrendo le serate piangendo. In quei tempi era molto difficile trovare lavoro in fabbrica, salvo le eccezioni delle filande. Il lavoro iniziava presto al mattino, verso le cinque e terminava molto tardi, con una brevissima pausa per la mensa di pranzo. Anche in questo caso dodici ore al giorno compreso il sabato, con una paga minima, la metà di quella ricevuta dagli uomini. Le donne dormivano generalmente in fabbrica in enormi cameroni prive di riscaldamento sottoposte a enormi sbalzi di temperatura perché si passava dall’ambiente di lavoro surriscaldato alle stanze molto fredde. I danni alla salute erano spesso gravi, malattie polmonari e tubercolari, a volte donne in condizione di gravidanza, lavoravano sino al giorno del parto e dopo, avevano diritto a soli tre giorni non retribuiti. Fu solo grazie alle lotte sindacali che cominciarono a cambiare le condizioni contrattuali.
Armando Crivelli 6 aprile 2012