Credo non distinguesse tra quello bruto,splendidamente barbarico,di origine langarola o il più sinuoso morbido Torinese.
Per quanto mi riguarda, dichiaro grande amore per il dialetto, mi esalta, mi consola.
Mi appoggio al muro dialettale e mi accorgo che non ho bisogno di “spiegarmi”.
Non mi vanto di ignorare le occhiute regole della grammatica piemontese, ma neppure le considero un disonore: un accento,un trattino di sospensione non debbono creare traumi. E’ il nuotare famigliare della “Parola parlata” che conta.
G. Arpino ci ricorda che la carne cruda del dialetto è nutriente se non viene destinata a surrogare lingue ufficiali .
Il dialetto che io amo non esprime astrazioni, quelle care a certi politici o a certi intellettuali sfatti.
Normalmente il giudizio è bruciante. Le parole che ne vengono fuori sono irriferibili, perché tanti termini- pensieri sono fantasiosamente osceni, smuovono iperbole di un ferocia che il gran mare della piatta lingua italiana ignora.
Il dialetto non bara, concede un braccio violento alla realtà,non la modifica ma bensì la memorizza per l’eterno in scarne sillabe proverbiali.
Nella quotidiana “vertenza” con la quale difendiamo diritti,spazi,possibilità,pezzi di vita per noi e per i nostri i cari, l’uso del dialetto è un buon volano che ci permette di mettere in moto le batterie difensive . Infatti in circostanze così difficili e drammatiche il mio momento epigrammatico, si sviluppa con maggiore agio esprimendomi in dialetto.
In conclusione, permettete un suggerimento, se conoscete all’origine la vostra lingua, fatene largo uso, coglierete significativi risultati.