Stando così le cose, il passo è breve per giungere alla decisione di fare del Caffè un foyer d’idee,di spiriti energici,di vivacità creativa, immaginifica, propizia perciò alla fantasia, alla letteratura, alla politica specialmente quando i locali di mescita assurgevano ai fastigi dell’arte. Ovviamente mi riferisco ancora all’epoca in cui nei Caffè c’era una atmosfera tenebrosa per le deboli luci ad olio che li illuminavano, quando i primi democratici, scossi dalle idee repubblicane introdotte clandestinamente da emissari clandestini, anche francesi,con molta circospezione discutevano fra di loro al vecchio “Caffè Colonne” in Via Po. In quel tempo i Caffè erano la Longa Manus di Società Segrete, luoghi convenuti di riunione per conventicole d’elites.
I locali pubblici, erano covi ideali per riscaldare le idee con cui influenzare non tanto il popolo, quanto il ceto medio e la borghesia. Qualcosa di grande doveva accadere. Di tutto ciò erano consapevoli sia Vittorio Emanuele II e sia Cavour. Cominciano i colloqui segreti Tra Garibaldi e il Re, con Cavour che si atteggiano in modo diverso. Da semplice cittadino il Re sarebbe lieto di unirsi al Generale, ma ha le remore della politica del suo Primo Ministro che deve fare i conti con la diplomazia internazionale. Il Piemonte non ha motivo di guerra con il Re delle due Sicilie, nel Mediterraneo vi sono le flotte Francesi e Inglesi. La Francia si metterebbe in allarme per lo Stato Pontificio. Pericolo d’ogni altro maggiore è l’eventualità di una guerra civile. Il Cavour espone le ragioni del suo rifiuto a Garibaldi e non può approvare la sua impresa. Il Re si rammarica di non poterlo ufficialmente approvare, ma segretamente può aiutarlo in denaro, e può pretendere che i suoi preparativi e la sua partenza non siano visti.
E che Dio assista gli audaci. Dopo la sua partenza da Quarto, il Re riceve una lettera da Rosolino Pilo “Sire, il grido dei miei fratelli di Sicilia ha profondamente commosso il mio cuore; non li ho consigliati all’insurrezione, ma proclama Vittorio Emanuele II personificazione d’Italia”
Nei Caffè cominciano a circolare voci circa una impresa di Garibaldi: quella spedizione dei Mille che alla chetichella se ne era partita. Giungevano gli echi di vittorie strepitose, ma insieme ad esse di ansia per un immediato futuro. La reazione internazionale. Ciò che affligge Cavour è l’idea di una eventuale guerra civile che sarebbe la rovina di tutto. E questo si profila inevitabile se Garibaldi crea dei separatismi o entra nello Stato Pontificio. Ma le reazioni paiono volgere al positivo. Roberto D’Azelio scrive sul Giornale il Nazionale che non sa se deplorare o più ammirare la nobile temerarietà. Oramai la corrente della nazionalità è lanciata, è irresistibile per la forza della sua universalità. L’11 di Maggio 1860 il Times commenta nel suo articolo di fondo “Il successo imprimerà a Garibaldi il carattere di Generale e di statista di prim’ordine; la sconfitta, la rovina; la morte, ne perpetueranno la memoria come di un avventuriero donchisciottesco, indomito per coraggio ma scarso di senno, che ha fatto getto della vita in un disperato gesto di pirateria. Ad ogni modo sui tavolini dei Caffè di Torino di fronte agli uomini vengono serviti bicchierini di alcolico Garibaldino, davanti alle dame rosseggiano le granatine con fragole intere, meno sconvenienti, ma buonissime. I contorni dell’impresa sono sempre più nitidi e fonte di energica e diffusa condivisione. Tutti combattevano moralmente per la ragione e la giustizia, non potendolo fare materialmente. Ma ora passiamo direttamente alla ragione dell’incontro incrociando Garibaldi e i Garibaldini.
Notte stellata” bella, tranquilla, solenne, di quella solennità che fa palpitare le anime generose che si lanciano all’emancipazione degli schiavi”Garibaldi ricorda così le ore tra il 5 e il 6 maggio 1860,quando l’avventura è già iniziata. Nino Bixio e una quarantina di volontari salgono a bordo del Piemonte e del Lombardo, ordinano di accendere le caldaie e di spostare i piroscafi dal porto di Genova<per imbarcare la gente che aspettava tra la Foce e Villa Spinola>. La villa, dove Garibaldi era ospite dell’amico Augusto Vecchi, da diversi giorni era il quartiere generale dell’impresa:un andare e venire di amici, compagni di lotta, messaggeri furtivi e messaggi del prezioso telegrafo elettrico. Si fanno piani, si scrutano le carte, si pensa alle armi che dovrebbero arrivare con la sottoscrizione per”un milione di fucili”; nervi a fior di pelle e ansia, ma si suona.