Il linguaggio della politica si arricchisce di un nuovo termine: “ beni comuni (in inglese common goods o comunions). Sono i beni comuni di proprietà comune; ovvero i “beni di nessuno”, non appartenenti ad alcun privato, ma neppure dello Stato, ne di nessuna istituzione pubblica, dunque nella disponibilità di tutti i membri di una comunità (e dall’umanità). Inizialmente facevano riferimento alle risorse naturali (aria,acqua,mari, biodiversità) e sensibili da tramandare alle generazioni future; col tempo e il progredire della tecnologia, si è fatta sempre più presente e si è estesa all’etere, alle orbite satellitari, ad internet, nonché alla cultura e alla conoscenza.
Ho tentato una definizione che media le varie convinzioni in campo. L’argomento imperversa, un giornale ha titolato “Uno spettro s’aggira a sinistra: il “Benincomunismo”. I beni comuni come terza via tra Stato e mercato che recluta sempre più adepti per le infinite potenziali combinazioni alchemiche tra i due. Un filone molto popolare che conduce alla sfida tra la teoria economica standard che l’ha battezzata, nel corso di questa lunga disputa dottrinaria, con chi ne ignora il significato. La “tragedia dei beni comuni”, per cui le risorse legate ai “Commons”dalle foreste, all’acqua, all’aria, alla terra, quando non sono riconducibili al possesso diretto di qualcuno e utilizzate liberamente da tutti, finirebbero, in maniera inesorabile, col venire esaurite, in quanto soggette al saccheggio e lontane da quelle dell’attore razionale (fondamento epistemologicamente dominante nell’economia politica). Queste idee così avverse all’individualismo proprietario in salsa neoliberista si sono diffuse nelle mobilitazioni popolari di buona parte del mondo. Suggerisco la lettura dell’ultimo lavoro di Stefano Rodotà “ Il diritto di avere diritti”., Si rinnova quindi una grande sfida tra la sinistra riformista e liberale quella radicale. Cosi, contro la retorica del benincomunismo si assiste alla tramutazione in “benaltrismo” e confonde tra bene pubblico e bene Comune. L’incoerente mistica dei Commons ha avuto la fortuna di intercettare un desiderio di cambiamento e di opposizione al pensiero unico. Questa logica del profitto selvaggio si combatte meglio (Vendola) e più efficacemente mettendo limiti ai poteri forti ed economici e quindi riconoscere la natura pubblica di talune risorse o per un “prevalente fine pubblico seppur utilizzato dalla stessa iniziativa privata. Serve l’universalismo dei diritti partorito dall’Illuminismo distinguendo per bene le categorie e le fattispecie ad Es gli ecosistemi e l’aria da quelli sociali (acqua potabile, farmaci, alimenti essenziali) Dibattito aperto, grande e generoso il contributo del pioniere il Nobel Elinor Ostrom (1933 – 20129). Dibattito aperto, intenso in una sinistra orfana da tempo dell’ideologia su cui impiantare solide basi di progettualità comprensibile. Chiedo scusa per il linguaggio, ma l’argomento è ostico.