- Ci si poteva ammalare o morire per mancanza di cibo, o ci si poteva ammalare o morire per eccesso di cibo (gotta) Camillo Benso, Vittorio Emanuele II aneddoti.
Le carestie o le contaminazioni dei raccolti non erano legate alle responsabilità dell’uomo, come del resto le epidemie, semmai il problema era legato alla mancanza di conoscenze sulla conservazione delle derrate.
Chi mangiava la carne (pochi) temeva i rischi legati alla conservazione e non sicuramente quelli legati al tipo di alimentazione del bestiame.
,le acque stagnanti o contaminate da sostanze organiche, doveva essere bollita, o addizionate con l’aceto, nella ingenua convinzione che ciò fosse sufficiente
I topi , più che apportatori di peste erano temuti come avidi concorrenti. I campi erano tutti coltivati, se ne massificava lo sfruttamento, visto anche lo scarto
Oggi: il bestiame staziona in stalla, e anziché essere nutrito con fragrante fieno viene alimentato con mangime ottenuto dalla macinazione dalle carogne di altri animali erbivori:
Oggi l’ansia di maggiori guadagni e minori sforzi fisici hanno sovvertito le leggi naturali.
L’argomento che con modesta competenza svilupperò è sicuramente centrale, baricentrico rispetto la storia dello Stato sabaudo. Tenterò di dare un volto alla poliedrica storia subalpina con la lente della cultura alimentare. Si evince che pur nella difficoltà rappresentata dalla povertà. Il popolo piemontese rivelerà grande dignità e fantasia nell’elaborare una cucina sobria e molto variegata.
Importante : sottolineare lo stile ricetti stico originale e ricco di alimenti etimologici, storici, agronomici, enologici. Le differenze tra le valli, comunità, i dialetti modi di dire, proverbi, tradizioni, riferimenti spirituali. Arte e poesia.
Oggi siamo in presenza di fenomeni di natura commerciale tesi ad enfatizzare il peso il valore della tradizione enogastronomica piemontese. Il salone del gusto Sloow food Polllenzo. Certo sono vette ad oggi insuperabili anche nel contesto internazionale, prestigio richiamo turistico, ricchezza. Siamo in presenza di un Boom editoriale e una marea di programmi televisivi che catturano l’interesse dei molti. Abbiamo il fenomeno di grandi nomi dello scibile si convertono a questa nuova religione.
Ma tutto ciò è positivo, derivato dallo studio e dalla ricerca storica, oppure si elaborano le varie risultanze della memoria storica, l’attualizzazione della storia della fame. Da un lato ma poi ci sono le nicchie personali. Gli appunti scritti con lapis sui sacchetti del pane dalle nostre nonne La mia esperienza. Tutto ciò è importante per le nuove generazioni. I giovani vanno più a cena che a ballare. Rischi, pericoli ecc
Guai non riconoscere e valorizzare il peso di fondo nel complesso mondo della produzione di cibo bevande, del lavoro prodotto dalle generazioni che ci hanno preceduto
Scriveva il grande poeta Esenin: La fame fa buono anche il ferro, anche quello delle catene. Non so se condividete!? Un uomo affamato è un uomo arrabbiato. Un ventre affamato non ha orecchie non vuol sentire ragioni. Un uomo affamato non è libero. Dante rispondeva: Poscia, più che il dolor, potè il digiuno (dall’inferno). Quindi la storia della fame è parallela alla storia della alimentazione. Si ricordano le sommosse popolari del 1817 a Torino quando si verificarono gli assalti ai forni. Lotte che hanno anche prodotto risultati, ma è bene ricordare che le basi di questa civiltà del benessere affondano nei solchi, scavati dalla zappa dei contadini. Il vomere della terra. Qualche riferimento storico: partendo dall’assedio del 1706, La grande difesa della città Vitt. Amedeo II (De la Fuillade, il principe d’orlens)
La battaglia dell’Assietta (1700 mt) del 1747
La pace di Acquisgrana che porta i confini del ducato dal Ticino alle Alpi. Consente al territorio di disporre di pianure, colline, montagne, laghi, sviluppare agricoltura, pastorizia e viticoltura
Il pedemont aveva potenzialmente tutto quanto sarebbe stato sufficiente, persino superfluo, per sfamare il popolo, ma invece tutto ciò serviva solo per arricchire la nobiltà.
I contatti con l’oriente prima, le crociate, i viaggi di Marco Polo, le invasioni saracene e i commerci con Venezia, introdussero prodotti forse più commerciali e voluttuari che propriamente alimentari, ma il vero miglioramento lo si ebbe con i prodotti che giunsero dall’America, frutti e ortaggi – proteine vegetali e la possibilità di dare corso ad una guerra contro L’avitaminosi. Avendo a disposizione una scelta energetica decisamente più ampia. Inizia per Torino una stagione nuova e importante. Il primato piemontese nella produzione del cioccolato e dell’industria conserviera ( note Cristina, Cirio). L’astigiano Francesco Cirio, con i suoi cibi inscatolati nutriva i nostri soldati in Crimea 1855.
Conserve di pomodoro
Coltivazione di questa Solanacea
Consumo della pasta asciutta.
Perché la patata tardò tanto ad inserirsi in Piemonte? Perché furono i tanto misconosciuti residenti delle valli di Lanzo ad introdurla? Erano loro i Malnutri, i più poveri, figli di una terra poverissima che non poteva produrre altro. Perché i piemontesi, noti consumatori di polenta, risentirono meno degli abitanti del nord-est italiano del flagello della pellagra. Era loro consuetudine alimentare, condivisa dai liguri, coltivare e cucinare erbe spontanee, consumare molti ortaggi crudi e frutti spontanei , alimentarsi con latte e i suoi derivati.
Cosa panificavano i poveri che non disponevano di frumento,? Panificavano ghiande, castagne, paglia , ‘aglio Tumulento che provocava avvelenamento e allucinazioni, simili a quello causato dall’ergotismo.
Cosa rappresentò, per la nascente industria meccanica l’infezione fillosserica che aveva colpito i vigneti? Tanta mano d’opera a bassi costi, l’urbanizzazione delle colline con atti speculativi, la sostituzione dei vigneti con laboratori e case di civile abitazione. I contadini invece costretti ad abbandonare la campagna per andare a lavorare in città e quindi il loro reclutamento avveniva a basso costo dalle industrie cittadine. Quando questi “servi di campagna” gli “schiavandari” perdevano il lavoro potevano forse contare su un tozzo di pane o una minestra e dormire sotto il portico di Piazza Carlina. Alla fine del 700 primi 800c’erano a Torino 10.000mendicanti. Sorse la Piccola Casa della Divina Provvidenza e attraverso lasciti si diffusero Ricoveri,Ospedali, Medicatoi, orfanotrofi e case correzionali (Omni, scuola levatrici).
Una curiosità: Il primo impianto di riscaldamento centralizzato venne installato nell’ospizio torinese, credo in c.so Unione Sovietica, chiamato all’epoca l’Ergastolo dove venivano ricoverate ex prostitute luetiche a cui veniva insegnato il mestiere per il reinserimento sociale.
Che cosa mangiava la povera gente? Alle iniziali zuppe di cavolo, rape, ceci, fave, si aggiunsero fagioli e le zucche, ed infine le patate, ma la carne scarseggiava e quella che confluiva nelle ciotole della povera gente era quella che oggi passa direttamente nell’inceneritore. Quale dieta veniva offerta ai giovani e agli anziani. Cosa somministravano le balie, pagate dal comune ai poveri orfani affidati a loro. La vita media era regolata sui 35 anni. I piemontesi mangiatori di polenta, ma le polente erano tante, fatte di mais fuso, mischiato con patate, grano saraceno, con segale senza nessun condimento con soli prodotti della propria stalla:Con umili segale si impastavano i Cursetin, progenitori delle attuali orecchiette. Baratto.
Riprendendo dalla premessa
Bocon ed lusso o Bocon Galup. Questo è il metodo che ho scelto per raccontare di noi e di loro, quando il tempo e i tempi erano difficili eppure gloriosi e stimolanti. Ho dedicato parecchio tempo per indagare due secoli da un punto di vista socio-gastronomico. Le ricerche che ho realizzato su documenti del periodo,su gabelle, su relazioni della vita economica, testimoniati da vari ricettari pubblicati in Piemonte tra il 700 e l’unità d’Italia. Richiamo il famoso Brillant Savarin che affermava” La scoperta di un nuovo manicaretto giova all’umanità più che la scoperta di una nuova stella”. Un periodo della nostra storia importantissimo. Uno stile di vita che con l’industrializzazione cambia completamente. Uno stile di vita che meriterebbe per certi aspetti essere trasfuso nello stile di vita odierno. Un periodo della storia che è curioso guardare anche da seduti a tavola, un luogo dove non solo si mangia ma si coltiva civiltà. Offro alcuni dati statistici. Ad es. le cifre che riguardano i guadagni di operai e artigiani attorno l’ottocento. Un muratore, per le 12 ore di lavoro giornaliere, portava a casa 2 lire, un lavorante 1,25, un garzone 1 lira. Un ebanista, un ottimo artigiano d’arte, 3 lire, un minusiere non particolarmente qualificato doveva accontentarsi di 1,25 . Ho ricordato le categorie più diffuse. Di fronte a queste paghe, ecco i costi della vita,o meglio della sopravvivenza, limitata al vitto. Sono dati tratti da uno dei bollettini pubblicati dalla Gazzetta del Popolo. Si tratta di bollettini Ebodomari dei mercati. L’alimento a più basso costo, le patate si pagavano 9 centesimi al chilo, i cavoli12 centesimi, il riso 27 e il pane 34. Un litro di vino medio costava 36centesimi. Perciò un chilo di pane e un litro di vino si portavano via il guadagno di una giornata di lavoro di un artigiano, per il quale rimaneva un sogno il tonno o la trota a oltre 3 lire al kilo e la frutta(incredibilmente a 3 o 4 lire) :. Se poi dalla capitale si passava in campagna ci imbattiamo in una relazione di un appassionato che scrive:” chi percorreva le campagne lontane dai grandi centri di popolazione sarà colpito dall’aspetto dei villici: li vedrà popolate da uomini, donne e fanciulli magri, gialli, spossati, estenuati non già dal lavoro, ma da un regolato digiuno. Ed ecco invece il menù di un Diner qualsiasi, tratto da un foglio a caso(1852) dal Giornale di Cucina della Corte di Torino.
Potagè riz truites souce hollandaise, criquette
Granouilles.Oeufs a la maitre d’hotel .
Poulard à la bourgeoise.
Barbeteux a la parmigiana.
Soufflet au citron,.
Olives farcies e beurres.
Quei tempi (forse) sono fortunatamente lontani. Oggi molti, se non tutti possono concedersi dei “Bocconi di lusso”. L’enogastrnomico e la divinità del gusto viaggiano tra grancasse e minuetti, bazicando università e grandi Esposizioni.
Nell’ottocento perché qualcuno potesse disporre dell’alta cucina era necessario che qualcun altro mangiasse poco o niente. Per la gente comune il pane rappresentava il cibo per eccellenza e costituiva oltre la metà del nutrimento totale. Non per nulla nella tradizione popolare esistono atti e detti”devozionali nei confronti del pane. In molte vallate alpine del Piemonte, in particolare in val di susa e nelle parti delle valli del pinerolese, il pane conserva grande importanza anche quando in altre località piemontesi fu in parte sostituito dalla polenta.
“Allora il Signore disse a Mosè, io sto per piovere pane dal cielo per Voi” Esodo,16,4
Sul piano profano il pane costituisce l’alimento base, l’unico cibo del povero, sul piano sacro è considerato il nutrimento spirituale che sopra ogni altro incarna l’essenziale. Fortemente investito di significato, in ambito cristiano il pane compare due volte in modo significativo; nell’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci e nella cerimonia de3ll’eucarestia, in cui il pane è assimilato alla vita e al corpo di Cristo. Il pane è anche il nutrimento chiesto nella preghiera del Padre Nostro.
Nelle zone montane, secondo dati rilevati dai dati codificate su schemi di rilievo sulle tasse del macinato, la maggior parte della farina era quella di segala, seguita da quella di orzo e avena: quando unvece la farina di segale era mescolata con quella di frumento veniva denominata “Barbariato”: la panificazione avveniva nel forno comune o della frazione (beni alloidali, olio,) e ciò fu consuetudine anche in un bel periodo del ‘900 anche la mandria. Il pane veniva confezionato soltanto due volte l’anno: In primavera e autunno. Ogni famiglia calcolava il numero di pani di cui necessitava e da infornare tenendo conto che il forno sarebbe stato spento per mesi. Con il pane così duro, era inevitabile la preparazione di piatti che ne prevedessero il suo impiego inzuppandolo in ingredienti liquidi e caldi. Nacquero così una serie di piatti a base di pane come la “panada” pane cotto in acqua e brodo, nacquero le diverse “sopa’d pan mitonà”( zuppa sobbollita, dal francese mitonè e i vari gnocchi di pane dai nomi più disparati secondo i luoghi. E le zone. Nelle vallate alpine, gli ingredienti base erano: pane, castagne, latte,formaggio, pochi legumi e cereali, poca verdura e raramente le uova. Queste ultime venivano spesso vendute per poter acquistare ciò che non veniva prodotto in casa(zucchero, riso, sale e vestiario). La coltivazione della patata iniziò a diffondersi alla fine del ‘700, anche se nelle vallate occitane cominciò un secolo prima. La situazione migliorava un pochino nelle fasce altimetriche medio basse e nelle pianure dove abbondavano le produzioni dei vari tipi di cereali, legumi verdure e frutta:In molte famiglie di contadini, inoltre, si faceva anche uso del vino. In pianura e collina pertanto si distingueva la differenza tra piccoli proprietari o mezzadri da quella dei lavoratori giornalieri. I primi, in genere, nella giornata del taglio delle messi o grandi lavori, mangiavano anche tre o quattro volte al giorno, mentre i giornalieri a malapena una volta un pasto misero. Nella città, le popolazioni meno abbienti consumavano formaggio e vino annacquato. Tuttavia disponevano di legumi, cereali e preparavano zuppe. Le carni rimanevano un miraggio. Quando un povero acquistava una gallina si diceva che qualcuno stava molto male o era in arrivo un figlio. La principale carne consumata nelle famiglie poco abbienti era quella allevata in casa. In particola re con la porcilaia e il maiale. Altre carni potevano essere la selvaggina cacciata di frodo. (divieti della corte), porcellini d’india allevati in stalla, animali da cortile molto raramente perché servivano come merce di scambio. Ci si raccomandava alla abilità delle massaie per assicurarsi qualità e gusto ai cibi nonostante la loro povertà organolettica. I piatti della cucina popolare che sono stati tramandati oralmente sino ai giorni nostri sono esclusivamente quelli delle feste e ricorrenze. Sacchetti di pane, lapis nessuno sapeva scrivere. Per la Borghesia: costituita da commercianti, banchieri, piccoli proprietari terrieri, impiegati, l’alimentazione quotidiana era certamente più varia e ricca rispetto la gente comune. Rispetto a questa classe sociale si dispone anche di un po di materiale d’archivio. Inoltre erano inoltre le loro frequentazioni con la nobiltà e ciò li favoriva.
La nobiltà e la corte sabauda, invece seguiva le mode del tempo e di conseguenza anche quelle gastronomiche: In occasione dei grandi ricevimenti i saloni si affollavano di ricchi ospiti, le tavole venivano ricoperte da preziose tovaglie ricamate, apparecchiate con piatti di porcellana e oro, posate d’argento e bicchieri di cristallo, arricchite da candelabri colmi di frutta o confetti, centri tavola in zucchero filato e così via Le numerose portate delle cene di gala erano costituite da piatti costosi e raffinati che si ispiravano alla cucina di altre Corti europee, e i n particolare con quella francese (fine con Margherita) Non bisogna dimenticare che per circa ottocento anni i Savoia governeranno sia di qua che di la delle Alpi mantenendo stretti rapporti con la Francia. Dopo la restaurazione 1814 la cucina cominciò ad essere considerata un’arte e un argomento di meditazione dando vita ad una serie di scritti da parte di nobili, giornalisti e studiosi. Merita di essere citato di nuovo Brillant Savarin, il primo gastronomo filosofo della storia. Negli stessi anni, presso le Corti e le Ambasciate di tutta Europa fece scuola la cucina del celebre cuoco francese Antoine Carème. Una cucina fastosa e opulenta Ma comunque alleggerita, rinnovata e resa più elegante rispetto il passato. Egli ridusse molto l’uso delle spezie sostituendole con i “fondi di cucina” quei brodi e sui ristretti di base necessari per dare maggiore gusto ai cibi. Le vivande, fino ai primi decenni dell’800 venivano portate a “Buffet” in modo in modo spettacolare davanti ai commensali i quali si potevano servire direttamente. Questo servizio era alla “Francese”. Dal 1810 , però iniziò a diffondersi il servizio “alla russa” inventato dal Principe Kurkin( Ambasciatore dello Zar Alessandro I a Parigi) il quale ebbe l’idea di dotare ogni invitato della lista di descrizione dei piatti serviti in successione dal cuoco in accordo con i padroni di casa. La lista delle vivande , costituito da un elegante cartoncino dipinto, avvertiva di ciò che i valletti avrebbero portato agli ospito di li a poco. Le pietanze, secondo la lista, potevano essere presentate in porzioni singole o su vassoio, porgendole al commensale sulla sinistra. Nacque così il “menù” inteso come “minuta”. Richiamo a tal proposito l’elaborato del Vialardi ( Cucina borghese- semplice ed economica) Alla Corte di Torino l’organizzazione dei pranzi e delle cene continuò ad essere d’ispirazione francese per decenni con un impiego ridotto di cibi e vini italiani. I menù venivano redatti facendo ricorso alla lingua fr5ancese. Però cominciò a farsi largo a partire dal 1860 lo stile alla “russa” e di conseguenza cominciarono ad apparire le prime descrizioni in lingua diplomatica Si faceva largo l’utilizzo della selvaggina e una delle malattie più diffuse era la gotta. Altro grande maestro che fece largo nella corte subalpina fu Eduard Helonis ak servizio di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II nello stesso periodo del Vialardi. Ricordo anche il Pettini
Armando Crivelli 14 ottobre 2012-10-13